“Tienilo in mano tu, falle mordere il gelato!”. Se non ricordo male ci siamo conosciuti così, io e Simone. Realizzando questa foto. Casualmente nello stesso gruppo capitanato da Luca Di Filippo alla prima Italypse di contributor di iStock, organizzata da Giorgio Fochesato, a Milano nell’anno 2010. Era un giovane appassionato di fotografia che si muoveva ancora con timidezza ma molta curiosità. Ci siamo poi incrociati ai molti eventi in giro per Milano, ci siamo tenuti in contatto, è venuto a curiosare su uno dei miei set a Verona (con la bellissima Elena Bittante) e ci siamo poi rivisti qui ad Amsterdam. L’ho seguito durante la sua crescita professionale, un po’ svogliatamente, finché un giorno vedo delle sue foto e mi dico… “Accidenti, ma è diventato davvero bravo!”.
Si è dedicato alla produzione di immagini stock entrando a far parte della nuova agenzia Stocksy e producendo una quantità di immagini da far paura.
Ora rappresenta per me un professionista maturo dal punto di vista tecnico e con uno stile già ben definito. Ha fatto un percorso pazzesco in soli 5 anni, un’evoluzione importante, sicura. Non lo conosco molto a livello personale (è un individuo piuttosto riservato) ma riconosco le sue foto immediatamente e queste mi parlano di lui.
Definisco il suo stile molto “rock”, anche se lui si vede più nostalgico. Punti di vista. Il percepito e il sentito, forse. Ma non si può negare che siano immagini forti e decise.
Ok ma arriviamo al punto. Recentemente mi ha chiesto di dargli una mano a mettere insieme il suo primo vero portfolio. Il ragazzo ha evidentemente necessità di urlare al mondo la sua individualità, uscire dal mercato delle foto stock, affermarsi con un nome, non con un numero. E tutti i giovani fotografi (non in senso anagrafico) sanno che questo è un passo che ti può togliere il sonno. Vedere le proprie immagini in maniera distaccata è davvero molto difficile dovuto all’attaccamento, ai ricordi, alle emozioni che quelle immagini simboleggiano. Con il tempo si impara anche il distaccamento e la razionalità. Col tempo. Per questo dico sempre che la selezione va fatta fare a qualcun altro. Qualcuno che veda solo con gli occhi e la pancia e non con il cuore e la memoria.
Ecco il motivo quindi che ha portato qui Simone. Si è fatto un viaggio fino ad Amsterdam per farmi vedere la sua selezione di foto e aiutarlo a scegliere cosa mostrare.
La cosa è iniziata diversi mesi fa, con dei compiti per casa. Ovviamente. Simone non si aspettava che gli ponessi tali domande e alcune l’hanno messo un po’ in crisi. Ma diligentemente ha fatto tutti i compiti assegnati e molta ricerca senza mai una lamentela. Si è poi presentato a casa mia con il suo pacchetto di foto stampate 10×15 armato di tempo e pazienza.
La selezione iniziale è stata accompagnata da diversi mugolii e frasi di dolore (da parte sua), ma quando ha iniziato a vedere il componimento del portfolio finale si è rincuorato annuendo ed esultando. Lui vede cose che io non vedo e per me è stato molto divertente lavorare sulle sue immagini, creando delle piccole storie, dei piccoli mondi all’interno di una grande unica visione.
Gli ho chiesto di descrivere la sua esperienza in merito, pensando che possa essere utile a diverse persone, soprattutto a chi sta ancora cercando il proprio “posto”.
“La lettura portfolio o comunque la discussione del proprio lavoro è un’esperienza a cui darò sicuramente una continuità. Prendersi una pausa dal proprio lavoro credo sia fondamentale. Allontanarsi per vedere la strada percorsa e allontanarsi per studiare una direzione: la distanza ti mostra le cose da un altro punto di vista.
É con questo spirito che sono partito per Amsterdam per parlare del mio lavoro con Barbara.
Ho scelto Barbara perché alla distanza dal mio lavoro volevo aggiungere la profondità di pensiero di una persona che stimo molto. É una sorta di chiusura del cerchio, Barbara è stata per me maestra quando ho iniziato ed è tuttora punto di riferimento. In lei ho trovato quindi l’autorevolezza, l’esperienza e la competenza di cui avevo bisogno. Oltre che alla grandissima disponibilità (grazie!) e schiettezza.
Fare foto è un vissuto intimo e questo si traduce spesso nel scegliere le proprie foto in maniera molto ignorante (almeno nel mio caso) concentrando tutta l’analisi di scelta sul peso emotivo e quindi personale del proprio lavoro, escludendo tutto il resto. Ed è proprio in quel “tutto il resto” che risiedono gli aspetti fondamentali per affrontare una scelta consapevole delle proprie foto, per costruirsi un portfolio professionale.
Qual’ è il mio stile oggi? Sono in grado di definirlo? Quale invece vorrei raggiungere? A chi voglio proporre la selezione di foto a cui sto lavorando? Perché? Questi sono i primi interrogativi che mi ha posto Barbara.
Rispondere a queste domande è esattamente l’allontanarsi di cui parlavo prima, riordinare le priorità. La sensazione è che se prima ero concentrato totalmente sullo sforzo di articolare correttamente i miei passi, ora mentre cammino ho una visuale più ampia di quello che ho attorno. Decisamente una bella conquista.
Uno degli aspetti che più mi ha affascinato nel discutere e analizzare le mie foto in una maniera più verticale di quanto non si è abituati a fare normalmente, è stato il percepire diversi punti di vista e di interpretazione. Cosa che mi porta inevitabilmente a riflettere molto sulla semiotica del linguaggio fotografico.
La critica esterna sul proprio lavoro è l’elemento chiave che aggiunge consapevolezza alla propria analisi. Distrugge qualche convinzione e mette i semi per raccogliere nuovi frutti.
Con Barbara ci siamo inoltre concentrati su quegli elementi ricorrenti che escono dalle mie foto, per cercare un’unicità che possa caratterizzare lo stile che dovrebbe identificarmi. Scegliere criticamente le mie foto si è rivelata un’esperienza profonda e molto più ampia del semplice ritrovarmi in mano un portfolio che mi rappresenta in questo momento: partendo dalle foto rimaste sul tavolo (letteralmente) ho modo di capire il perché ci siano finite sopra e soprattutto ho modo di iniziare nuove fotografie che si sentiranno a loro volta parte di un percorso”.
Da queste poche righe si capisce immediatamente che Simone è una persona tutt’altro che superficiale. Ma io volevo di più, volevo scavare più a fondo sulla parte emotiva, quindi ho rincarato la dose con delle domande specifiche.
– Ti sembra di percepire le tue foto in maniera diversa ora che hai dato loro uno scopo?
“Si assolutamente, in due maniere diverse. Ho una visone più profonda delle foto scattate precedentemente a questa esperienza. Le guardo spesso cercando di trovare quei collegamenti che non sapevo nemmeno ci fossero. E poi soprattutto ho un approccio più consapevole alle foto che sto iniziando a fare, post lettura portfolio. Per consapevolezza intendo la relazione tra il fine della foto e il mio stile. Prima mi muovevo solo istintivamente, ora ho messo l’istinto come forza motore prendendo però in mano il timone“.
– La tua faccia era quasi sofferente nel momento della “scure” (la prima selezione). Sei ancora attaccato a quelle immagini come lo eri prima?
“È cambiata l’aspettativa per quelle foto. Credo sia come realizzare che un figlio non è adatto per studiare in quella università che tu avresti voluto. Non è che si smette di volergli bene, semplicemente accetti il fatto che se vuoi un figlio dottore devi farne un altro“.
– Qual è stata la fase più difficile dell’intero processo?
“La parte molto difficile per me è stata quella iniziale, dove prima di partire con la scelta delle foto mi sono dovuto staccare per capire i “perchè”. Ragionare sul presente per iniziare una strada nel futuro“.
– Quali cose ti aspettavi e non sono avvenute? E quali invece sono avvenute che non ti aspettavi?
“Non mi aspettavo un’esperienza cosí ampia, una reazione a catena di spunti di riflessione che portano inevitabilmente ad avere più cognizione in quello che fai. Avevo letto spesso dell’importanza delle letture portfolio nella carriera di un fotografo, ma ovviamente viverlo è tutta un’altra cosa.
Mi aspettavo più fatica ad accettare l’eliminazione di alcune foto sul lungo periodo. Avevo paura che alcune foto tolte mi sarebbero rimaste lí sul groppo, a implorare e rivendicare spazio. Evidentemente la fiducia nel lavoro di Barbara e la soddisfazione di vedere una sequenza con un senso hanno avuto la meglio“.
– Senti che manca qualcosa al tuo lavoro?
“Molto onestamente ho iniziato a fare il lavoro che faccio per evadere dalla vita di ufficio che facevo anni fa. La fotografia inizialmente è stata un mezzo per puntare a quella libertà che sognavo vivendo confinato in 4 muri davanti ad un computer. Solo ultimamente però sto iniziando a studiare fotografia e a considerala linguaggio e strumento espressivo. Oggi che vivo in quella libertà che sognavo anni fa, mi manca proprio tutto quello che sto imparando di nuovo. Mi rendo conto che la vera cosa che mi interessa è esattamente quel mezzo che usavo per arrivare ad un fine. Per vendere foto bisogna studiare il mercato, per essere fotografi bisogna capire se stessi in primis. Sono felice del lavoro che faccio oggi, Stocksy è sicuramente la più promettente agenzia stock sul mercato, ma sono ancora più felice del sentire questi stimoli che mi permettono di non sedermi sui risultati ottenuti“.
– Dopo anni come stock contributor cosa ti aspetti da questo portfolio?
“Parlando su un piano professionale, quello di fotografia commerciale, mi piacerebbe iniziare ad affacciarmi su più lavori commissionati. Lavorare con team di persone per creare l’immagine che deve rappresentare un brand ad esempio. Mettere a disposizione il mio stile e il mio punto di vista per soddisfare delle specifiche richieste. Negli ultimi anni ho lavorato poco su commissione, concentrando tutti i miei sforzi nello stock. Lo stock è fantastico in quanto ti permette di avere carta bianca sulla creatività (ovviamente adattandola alle esigenze di mercato, se ci si deve portare a casa la pagnotta), i lavori su commissione sono fondamentali se si vuole arrivare ad un certo livello di professionalità ed essere quindi in grado di garantire la soddisfazione di precise richieste. Quello che vorrei fare ora è bilanciare le due cose, commissioni e stock. Quindi da questo portfolio mi aspetto un valido strumento nel propormi per cercare nuove collaborazioni“.
– Che colonna sonora daresti al tuo portfolio?
“Sono figlio dei Clash, Ramones, Cash e Springsteen. Una buona band moderna che ha ripreso un mix di queste sonorità sono i Gaslight Anthem. Vorrei poterti dire anche De Andrè, ma dovrei lavorare ancora molto su poetica e armonie“.
Se all’inizio la sua influenza dovuta alla produzione stock era molto radicata in lui (mi ha presentato la grande selezione di stampe divise per sezioni del tipo “coppia”, “amici”, “street”, “lifestyle”) credo abbia capito ora che il senso dato inizialmente ad una immagine sia semplicemente un COME e non un PERCHE’. Il come ci permette di definirle, ma il perché ci permette di sognare.
In apertira un breve video (fatto dallo stesso Simone) del suo portfolio. Per me era importante che mostrasse l’abbinamento delle foto perchè insieme vivono diversamente che da sole.
Tutte e foto pubblicate qui sono tratte dal suo sito che potete visitare qui.